RED, Consiglio regionale: il dibattito

Francesco Ventola (COR)
Stiamo parlando di reddito di dignità in contrasto con quello che si discutendo a livello nazionale. Si è parlato anche di un respiro europeo o, quantomeno, nazionale. Noi, però, abbiamo l’ambizione di avere una strategia regionale, guarda caso in contemporanea, quasi contestualmente, a quello che sta accadendo a livello nazionale, con lo stesso bacino di utenza. I soggetti a cui noi ci rivolgiamo, ai quali vorremmo offrire una possibilità attraverso questo “reddito”, è la stessa platea alla quale si rivolge il Governo nazionale. Non ci viene il dubbio che una persona, godendo di un beneficio, di un reddito riconosciuto a livello nazionale, venga meno dalla platea di quello regionale? Non ci viene il dubbio che, probabilmente, se dovesse partire prima il reddito minimo garantito previsto nella legge di stabilità o l’ulteriore ampliamento della cosiddetta social card, già prevista dalla legge di stabilità, probabilmente quella stessa platea godrà già di un beneficio, di un’attenzione, di una politica di welfare diversa?
Noi stiamo approvando un disegno di legge dove si dice, tra le altre cose, che le risorse finanziarie che contribuiranno a costituire questo fondo globale dal quale attingere per erogare il RED rivengono anche dalla legge n. 68/1999, che sono le risorse che dovrebbero favorire l’ingresso dei disabili all’interno del mondo del lavoro, di chi è iscritto nelle categorie protette per entrare nel mondo del lavoro. E citiamo quella legge come una potenziale copertura finanziaria per il RED. Continuiamo a creare false illusioni (non voglio utilizzare altri termini). Ma andate a chiedere nei comuni i cantieri di cittadinanza a che punto stanno. Ma sappiamo che le relative risorse sono ancora qui? Che il procedimento che era stato posto in essere per l’attuazione era così farraginoso, che ancora oggi ci sono la maggior parte delle città pugliesi dove i cantieri di cittadinanza non sono partiti? E noi pensiamo al RED. Ma a casa la gente non mette più il pane sul tavolo. Quelle stesse persone che hanno fatto la domanda dei cantieri di cittadinanza due anni fa, un anno e mezzo fa ancora oggi stanno aspettando di cominciare a lavorare. Se non ha funzionato il modello organizzativo dei cantieri di cittadinanza, a sportello, con la struttura organizzata, con i bandi fatti dai Comuni, a maggior ragione non funzionerà il modello organizzativo previsto dal RED che è ancora più sovrabbondante.
Inviterei il Governo e il Consiglio regionale a soprassedere dal voto oggi del reddito di dignità e ad attendere il provvedimento finale dal Governo nazionale così da integrarlo, coordinarlo e fare una scelta di campo.

Luigi Manca (COR)
L’obiettivo principale della Regione Puglia e dello Stato in generale è quello di dare lavoro. I pugliesi non vogliono l’elemosina. I pugliesi vogliono il lavoro, e credo che sia nostro compito come Istituzione, fare qualunque cosa per dare lavoro ai nostri cittadini. Il nostro intento principale è questo. Se questa legge deve passare che almeno venga approvata con uno spirito completamente diverso, agganciando i 600 euro previsti nella misura massima a un lavoro, perché i nostri concittadini non vogliono elemosine, non vogliono assistenzialismo, vogliono avere una propria dignità.

Marco Lacarra (PD)
Qui non stiamo parlando di grandi sistemi, di interventi che cambiano la struttura sociale della nostra regione. Abbiamo pensato di avviare un percorso, che peraltro nei Paesi del nord Europa già da tempo è stato avviato, per dare un minimo di nobiltà e dignità a un contributo, a una misura di contrasto alla povertà. Vogliamo chiamarlo reddito, vogliamo chiamarlo sussidio, vogliamo chiamarlo in tutti i modi possibili, e abbiamo pensato di chiamarlo reddito per una ragione molto semplice, vale a dire che prevede un’attività a fronte della quale il beneficio economico che viene erogato costituisce un corrispettivo. Per questo si chiama reddito, non perché si abbia l’idea e la prospettiva di aiutare in qualche modo le famiglie a uscire totalmente dalla povertà e dal disagio economico in cui sono cadute.
Il disegno di legge non ha l’ambizione di risolvere il divario sociale, né l’ambizione di reinserire lavorativamente tutti i beneficiari che accederanno a questa misura. Sarebbe un’ambizione folle e assolutamente sradicata rispetto alla situazione economica e sociale che stiamo vivendo. La legge ha una funzione, quella di dire basta al contributo a pioggia, all’elemosina. Cerchiamo in qualche modo di dare dignità a un beneficio economico che stiamo corrispondendo, di introdurre una piccola porta aperta verso un possibile reinserimento lavorativo.
Serve una governance che deve essere puntuale, precisa, con la creazione di una rete strategica su tutto il territorio. Lavoriamo, quindi, perché si vada avanti su questo progetto e perché lo si renda attivo e attuale sui territori. Facciamo in modo di contribuire perché il Regolamento applicativo risponda alle esigenze che provengono anche dagli enti locali, che sollecitano una governance seria ed efficace. Su questo, credo che ci vorrà il contributo di tutti.

Antonella Laricchia (M5S)
Esiste già in Parlamento la nostra proposta, che ci sarebbe piaciuto fosse stata sostenuta da chi ritiene che effettivamente questo reddito di cittadinanza sia importante. È ovvio che la dimensione nazionale è la dimensione più efficace. Abbiamo rilevato le coperture. Anche lì c’è il bollo della Ragioneria di Stato, quindi sono stati ritenuti ammissibili. Non si capisce perché il Premier Renzi prima guardi verso il modello francese e ritenga che il prossimo obiettivo sial’erogazione di 600 euro per chi non ha lavoro, salvo poi, durante il question time alla Camera, chiudere definitivamente la richiesta del Movimento 5 Stelle di introdurre un assegno mensile di 780 euro per chi non ha altre entrate.
Sul ddl che stiamo discutendo oggi abbiamo già presentato i nostri emendamenti. La direzione in cui vanno: aumentare il contributo e la platea. Prendiamo come riferimento la soglia di povertà calcolata ogni anno dall’ISTAT. Si tratta di povertà assoluta. Quindi è un paniere minimo di beni e servizi calcolati cui avrebbe avrebbero accesso i beneficiari del reddito, se emendato con i nostri emendamenti. È ovvio che l’ISEE servirà ad docvumentare quella situazione, attestando se la famiglia sia o meno nella condizione di povertà assoluta, così come determinata dall’ISTAT. In questa maniera, avremmo un aumento del contributo. Facendo un esempio, secondo il vostro calcolo, a una famiglia composta da un solo componente sarebbe attribuito un contributo di 200 euro circa, la soglia di povertà dell’Istat per una famiglia del Mezzogiorno di un solo componente in una città prevede di dare almeno il doppio a persona. È chiaro che poi l’importo aumenta sulla base dei componenti del nucleo familiare.
La situazione di povertà, proprio così com’è calcolata dall’Istat, si risolve solo se viene data la cifra che noi chiediamo di dare. Per questo la copertura non può essere rappresentata dai 70 milioni di euro all’anno. Abbiamo cercato di eliminare ancora una volta la realizzazione di un’ennesima struttura di progetto, perché non deve essere la povertà ancora una volta l’occasione per realizzare nomine, assunzioni, strutture e quant’altro. Cerchiamo di farlo con le forze che sono in capo alla Regione.
Per quanto riguarda le coperture sono una ventina gli emendamenti finanziari che abbiamo sottoposto al controllo tecnico. Abbiamo lavorato sul bilancio consuntivo 2014, essendo l’ultimo disponibile, rilevando, ad esempio, circa 75 milioni di euro che impiegati in diversi capitoli di bilancio possono essere oggetto, se oggi ovviamente lo decidiamo, nel giro di centottanta giorni, di una proposta di legge di riorganizzazione del welfare. Noi proponiamo che nei prossimi sei mesi si riorganizzi il welfare regionale e quindi si riprendano queste risorse finalizzandole in questa direzione e destinandola alle persone e non, come al solito, ad associazioni e categorie. Inoltre si potrà fare riferimento agli Assi 8,9 e 10 dei POR.

Domenico Damascelli (FI).
Il RED sarebbe dovuto partire dal nucleo familiare, valorizzandolo e sostenendolo nella sua interezza e nel suo percorso di vita. Mi riferisco, per esempio, all’assegno di cura. Questo disegno di legge stabilisce, tra l’altro, che si vuol dare una risposta al fabbisogno di cura, ma la Giunta regionale dimentica che proprio quell’assegno di cura, dopo due anni, purtroppo termina per quei cittadini pugliesi non autosufficienti gravi. Perché non si è pensato ad un percorso in cui sia valutata anche l’assistenza sanitaria relativa a quelle famiglie bisognose? Quanti cittadini ci sono che con una pensione soltanto di 500 euro non hanno la possibilità di pagare i 70 euro di ticket per gli esami di routine? Fare rete tra le varie Istituzioni prossime realmente al cittadino e utilizzare questi fondi poteva essere una opportunità per tutelare la famiglia sotto tutti i punti di vista, dalle cure alla scuola, all’istruzione (che è fondamentale), al lavoro per i genitori.
Non diciamo certamente di no alla protezione sociale. È importante, è un aspetto che tocca le coscienze di ognuno di noi e noi non possiamo non essere favorevoli. Tuttavia, vogliamo un provvedimento egualitario, un provvedimento non categoriale, un provvedimento che comprenda tutti in base a giusti criteri. Il nostro timore è che con questo disegno di legge addirittura si scoraggi il cittadino dalla ricerca di un’occupazione lavorativa, con il rischio che anziché essere strumento per incentivare un cittadino a trovare un posto di lavoro, a sostenere per dodici mesi quella giusta motivazione e poi proseguire in quell’impiego, si rischia addirittura di andare a disincentivarlo, perché è un contributo a pioggia. Ecco perché si era pensato, a un provvedimento – chiamatelo social card, chiamatelo come volete – che non dia la possibilità di avere dei contanti, ma che serva a soddisfare le esigenze di una famiglia pagando le utenze, le cure sanitarie, i buoni libro per i ragazzi che vanno a scuola, cioè dare la possibilità di utilizzare questi fondi per i primari ed essenziali bisogni di una famiglia o di un individuo, più che utilizzarli per altri fini anche diseducativi per la famiglia stessa. Quindi, sì a un provvedimento di protezione sociale, ma attenzione perché c’è il rischio che possa addirittura avere degli effetti contrari e diventare diseducativo rispetto a quello che dovrebbe essere un percorso di una famiglia pugliese, che va tutelata, sostenuta e incentivata. L’invito al Governo è di ripensare ad un ddl che possa vedere un sereno contributo da parte di tutte le forze oggi sedute in Consiglio regionale perché tutte stanno dimostrando, a prescindere dall’appartenenza politica, di avere una sensibilità a questo argomento.